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Guru.marketing si appassiona delle tendenze, e ha raccolto per te in questa rubrica il grande tema del marketing food. Non si può più lasciare al caso l’esperienza del cliente, il foodie, assicurati di promuovere al meglio il tuo brand alimentare, con un’operazione di food marketing studiata nel minimo dettaglio, attraverso strategie di guerrilla marketing, direct e strategie digital. Tutto quello che ti serve per una completa food experience.

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Il marketing del cibo, negli ultimi anni, ha raggiunto un livello di onnipresenza e complessità che nemmeno gli addetti ai lavori si aspettavano. Basta dare uno sguardo agli interi network televisivi e veri e propri imperi economici nati intorno a chef televisivi e brand culinari di ogni genere. Paradossalmente, è proprio ora, all’apice della crescita di questa industria, che è più difficile per i nuovi brand promuoversi in modo efficace: la concorrenza è spietata e i media sono saturi. Per farsi notare, quindi, occorre pensare in modo creativo e trovare soluzioni uniche e sorprendenti. Non c’è niente di male, ovviamente, a trarre un po’ di ispirazione dai brand già affermati, soprattutto perché molto spesso sono proprio questi a correre i rischi maggiori quando si tratta di promozione, e ad arruolare le migliori menti creative sul mercato.

I social media hanno completamente stravolto tanto il modo con cui ci relazioniamo con i brand, quanto quello con cui ci relazioniamo col cibo. Questi due cambiamenti di atteggiamento hanno un elemento molto importante in comune: l’emozione. D’altra parte tutte le nostre comunicazioni, nell’era dei social media, sono diventate molto più intense dal punto di vista emotivo. Ormai i messaggi che non provocano una reazione emozionale violenta non sembrano destinati a lasciare alcuna traccia né a catturare l’attenzione del consumatore. Le regole del gioco, dunque, sono cambiate: non si punta più a rendere popolare il brand, si punta a farlo amare. Che cosa succede quando le piattaforme a più alto impatto emotivo ovvero i social incontrano il prodotto a più alto impatto emotivo, ovvero il cibo? Succede che le emozioni diventano protagoniste assolute della comunicazione, nel bene e nel male.

Come facevamo a consumare un pasto quando non esisteva Instagram? Anche i più severi censori della mania di fotografare il cibo, ogni tanto, cedono alla tentazione di condividere le immagini del proprio pranzo online. Non rimproveriamoli troppo: è l’evoluzione di un istinto naturale, ovvero l’istinto a socializzare intorno al cibo. Solo che, in un momento storico in cui la nostra rete sociale non è più limitata dalla necessità della compresenza fisica, per utilizzare il nostro toast all’avocado come elemento di socializzazione dobbiamo condividerlo con qualche milione di sconosciuti (e un migliaio di amici). Questo ragionamento è paradossale, ma si tratta di uno scherzo solo fino a un certo punto, poiché mette in evidenza un elemento molto importante per chi si occupa di ristorazione, ovvero il fatto che la qualità del cibo non basta più, di per sé, a soddisfare tutte le esigenze del consumatore. Capire questo principio è fondamentale per tutti i brand e gli esercizi commerciali del settore che ambiscano a fidelizzare i clienti.

Oggi parliamo di media: la scelta delle piattaforme su cui articolare una campagna è fondamentale e richiede un’analisi approfondita. È fin troppo facile tracciare una linea netta fra vecchi” e nuovi media e stabilire che i primi (che comprendono la radio, la tv e i giornali) sono ormai obsoleti e rappresentano un costo inutile, mentre i secondi (tutto ciò che esiste online) sono il solo e unico futuro del marketing. A volte, quando si sceglie il posizionamento media della propria campagna, un approccio di marketing ibrido, che comprenda vecchi e nuovi media, può essere l’idea migliore. Un esempio perfetto ce lo fornisce il confronto fra due campagne di brand legati al cibo, che hanno sperimentato con due approcci diversi sul mercato australiano. McDonald’s ha tentato di “svecchiare” il proprio marketing affidandosi esclusivamente ai canali online, mentre Delivery Hero ha scelto un approccio combinato, nel quale vecchi e nuovi media si rafforzano a vicenda. Vediamo insieme gli effetti di entrambe le campagne.

Il cibo è il prodotto per eccellenza, e come tale può sembrare la cosa più semplice da promuovere. Dopo tutto non è forse vero che tutti i nostri social sono invasi di foto di piatti più o meno artisticamente assemblati, che nei programmi tv ci sono più cuochi che telegiornali, che il food marketing è onnipresente e che il “foodporn” è una categoria fra le più frequentate su Instagram e i “foodie” sono una sottocultura in continua evoluzione? Ed è proprio perché il food marketing è così onnipresente che, nel contesto attuale, promuovere un brand alimentare con una strategia datata equivale a non promuoverlo affatto. Ed è proprio in questo settore, più che in qualsiasi altro, che il marketing esperienziale ci permette di fare davvero la differenza. Perché il cibo, rispetto agli altri prodotti, ha una marcia in più: si mangia. E quando si parla di esperienze, poter stimolare fisicamente un senso che gli altri prodotti normalmente non toccano è un vantaggio da non sottovalutare. Vediamo insieme come applicare tecniche di marketing esperienziale alla promozione dei prodotti alimentari.

Il cibo è una necessità primaria, ma le scelte alimentari sono prima di tutto identitarie. Basti pensare alle sottoculture che nascono e si aggregano intorno al cibo, e che spesso generano discorsi appassionati e veri e propri conflitti. Chiunque si occupi professionalmente di cibo, dai brand che producono alimenti ai ristoranti e ai fast food, ha la necessità di mantenere un rapporto costante con la propria clientela, di accrescerla, di soddisfarla migliorando la qualità del prodotto e del servizio. Un po’ come nei videogiochi di simulazione di ristoranti e bar, si tratta di un complesso lavoro di coordinazione fra risorse e spese, personale e domanda, numero dei clienti e possibilità di soddisfarli tutti. Probabilmente è per questo che i suddetti videogiochi hanno successo prevalentemente fra chi non lavora in un ristorante. In questo post, naturalmente, ci occuperemo solo di uno di questi aspetti: il marketing. Nello specifico, vedremo come gli strumenti di marketing digitale possono sfruttare la segmentazione dei “foodie” in mille categorie diverse, per permettere ai brand di aumentare le vendite.

Proximity marketing e cibo: due realtà che si studiano a distanza, con un po’ di diffidenza e occasionali momenti di entusiasmo. Il comparto alimentare sta scoprendo le meraviglie del marketing geolocalizzato e sperimentando con diverse tecniche promozionali, adatte a contesti diversi. C’è però una categoria che può trarre davvero benefici enormi da questa tipologia di marketing: i food truck – anche nelle loro declinazioni più modaiole. Per esempio, se un brand decide di lanciare un tour promozionale stagionale per l’introduzione sul mercato di un nuovo prodotto, abbinare a questa iniziativa l’uso dei beacon può essere la chiave per un successo senza precedenti.

Il guerrilla marketing è un po’ come la musica: quello che sembrava coraggioso e stupefacente a una generazione diventa ordinaria amministrazione per quella successiva. Per questo chi decide di intraprendere questa strada per la promozione del proprio prodotto o della propria attività deve sviluppare continuamente idee nuove e creative, nel rispetto dell’identità del brand e delle inclinazioni del pubblico al quale vuole rivolgersi. L’industria alimentare ha utilizzato tecniche di guerrilla marketing a diversi livelli, spesso con successo: il cibo è un catalizzatore di interazioni umane e si presta più di altri prodotti a essere inserito in contesti sorprendenti e atti a stimolare la curiosità del pubblico. In questo post, in particolare, ci occuperemo di street food: una delle tendenze più popolari degli ultimi anni, nonché una delle più adatte a questo genere di promozione non convenzionale.

Esiste un intero filone di trasmissioni dedicato al problema della fidelizzazione dei clienti. Se pensate di non averne mai visto uno, vi sbagliate: stiamo pensando al franchise di “Cucine da Incubo”. Le puntate iniziano sempre con la stessa storia: un ristorante parte col piede giusto e raggiunge il successo, ma poi i clienti disertano, le spese si accumulano, la qualità crolla, il panico cresce, e a quel punto arriva Gordon Ramsey (oppure Antonino Cannavacciuolo, a seconda del paese) e rimette le cose a posto a suon di sberle e investendo i soldi degli sponsor in un colossale makeover. C’è qualche speranza, per chi si occupa di cucina, cibo e ristorazione, di fidelizzare i clienti senza essere picchiato da uno chef televisivo? Noi riteniamo di sì. La parabola che porta la novità ad attrarre i clienti e la noia a farli scappare non è scritta nella pietra: la fedeltà dei clienti può essere guadagnata e mantenere il successo di un ristorante anche molto a lungo, a patto di saperla meritare. Ecco come fidelizzare una clientela stabile, creando una base solida per costruire la crescita futura.

Il proximity marketing è fra le tendenze più interessanti di questi ultimi anni, poiché promette di integrare due mondi che solitamente non si parlano: quello del digital & mobile marketing e quello dell’interazione dal vivo con il cliente. Non è una sorpresa, dunque, che bar, ristoranti e pub siano in prima linea nella sperimentazione di queste nuove tecnologie. Tutto è cominciato, in modo abbastanza semplice, con Foursquare. Ve lo ricordate? Adesso è molto raro che lo si usi, ma per almeno un anno, intorno al 2010, tutti erano ossessionati dal numero di check-in e dai conseguenti “badge” che venivano concessi agli utenti: viaggiatore internazionale, sportivo, gourmet. Naturalmente gli esercizi commerciali si affrettarono a mettere le proprie attività su Foursquare. Oggi gli epigoni non si contano: i check in si fanno su Facebook, Google, Yelp, Instagram e molti altri. Il marketing geolocalizzato, però, si è nel frattempo evoluto e ha integrato diverse nuove tecnologie, fra le quali i beacon, senz’altro l’innovazione più affascinante del settore.

In materia di cibo, gli italiani sono particolarmente conservatori. Tuttavia non è solo una caratteristica nazionale quella di affezionarsi ai brand e ai prodotti che si portano sulla tavola: provate anche solo a discutere con due inglesi provenienti da regioni diverse sulle differenze minime nella preparazione dell’arrosto domenicale e noterete atteggiamenti campanilistici assai simili a quelli nostrani. Per chi si occupa di vendere e promuovere prodotti alimentari, questo stato di cose rappresenta una sfida non indifferente. Come introdurre sul mercato un nuovo prodotto o un nuovo brand, specie se propone qualche elemento leggermente diverso dalle tradizioni acquisite? Per riuscire in questa impresa bisogna adottare strategie di marketing non convenzionali, che sappiano sorprendere e affascinare.

Il marketing esperienziale può essere considerato una novità in diversi ambiti, ma nel settore alimentare il focus sull’esperienza del cliente è una tendenza consolidata da moltissimo tempo. Quello che un tempo si otteneva creando relazioni dirette all’interno della comunità, trasformando la drogheria locale in un punto di aggregazione, oggi si replica con tecniche più consapevoli e data-driven. Naturalmente, quando si parla di esperienza in ambito di marketing alimentare, si parla sempre soprattutto di sampling, ovvero della tradizione, anche questa tutt’altro che nuova, di far provare gratuitamente alla clientela un assaggio di un nuovo prodotto, per invogliare all’acquisto e al consumo. Quando si passa dal piccolo negozio a gestione familiare al franchise di grandi dimensioni, però, le tecniche che un tempo permettevano al singolo negoziante di creare un rapporto privilegiato con ogni cliente vanno adattate su una scala più ampia. Quali sono dunque gli elementi fondamentali per una buona campagna di marketing esperienziale nel settore alimentare? Analizziamoli insieme.

Il trend più significativo nel marketing alimentare degli ultimi anni è senz’altro quello relativo agli ambiti del biologico. Anche i prodotti che non rientrano strettamente in questa filiera tendono a incorporare nella propria promozione i temi mutuati dal mondo del “bio”. Perché questo tipo di promozione ha tanto successo? Perché tocca le corde giuste dal punto di vista emotivo, e non c’è marketing che risponda bene agli stimoli emozionali quanto quello legato al cibo. Per studiare come promuovere un prodotto sono sempre di più le aziende che si adattano, modificano i prodotti e lavorano sulla percezione esterna degli stessi per farli arrivare al cliente come parte di un messaggio che parla di rispetto della natura e della salute, di semplicità, di ritorno alla genuinità e alle tradizioni, di attenzione agli ingredienti e a ogni fase della lavorazione. E non si tratta neanche solo di marketing: a questi messaggi corrispondono spesso politiche di trasparenza e controllo di tutta la filiera. Tutte queste operazioni tentano, spesso con successo, di coltivare la fiducia del cliente nel prodotto.

Il cibo è un contenuto mainstream, su questo non c’è dubbio. Da Masterchef al Gambero Rosso, dai blog come GialloZafferano alle grandi multinazionali, quella alimentare è un’industria da miliardi di dollari e con migliaia di sfaccettature. Chi ha bisogno del guerrilla marketing, in un contesto industriale così solido? La risposta è “chi non se ne rende conto” e “chi non lo sta facendo”. Tutti abbiamo visto la foto della panchina trasformata in un Kit-Kat e non è difficile intuire come, per arrivare a un pubblico giovane, una trovata divertente sia certamente la cosa migliore. Ma se pensiamo alle origini del guerrilla marketing, ricorderemo che uno dei suoi pregi principali è sempre stato il basso budget. Conseguentemente potremmo mettere in dubbio che un’iniziativa del genere sia autentica guerrilla perché i costi sono più alti di quelli che sembrano e il brand può permetterseli. Torniamo quindi alla nostra domanda iniziale: chi ha davvero bisogno del guerrilla marketing?

Il cibo ha smesso di essere un’esperienza analogica. Questa può sembrare un’osservazione azzardata, ma basta soffermarsi a riflettere un momento sulle nostre abitudini riguardo alla cucina e all’alimentazione per accorgersi della sua veridicità. I libri di ricette raccolgono polvere sugli scaffali, mentre cerchiamo ispirazione su siti, blog e social ogni volta che dobbiamo preparare una pietanza. Sempre più giovani imparano a cucinare e ad apprezzare il cibo non in casa e in famiglia, grazie al food marketing che fa apparire molteplici campagne su piattaforme digitali  Ne consegue che chi opera professionalmente in questo settore debba promuovere i propri prodotti e servizi soprattutto sui media digitali. I brand del settore alimentare lo sanno e si sono lanciati all’assalto del marketing digitale, esplorando le molte possibilità delle nuove tecnologie, dai chatbot all’intelligenza artificiale, dalla realtà virtuale all’universo social. Lo scopo, come sempre, è sfruttare la targettizzazione estremamente precisa offerta da questi mezzi, allo scopo di raggiungere ogni consumatore con contenuti altamente personalizzati, rilevanti, coinvolgenti e “appetibili”. Quali sono i contenuti digitali più efficaci in questo settore? Ecco alcune tendenze da tenere d’occhio.