Di recente abbiamo notato che molti dei marchi più importanti sul mercato improvvisamente non vedono più la famiglia Kardashian o Kanye West come i migliori influencer per rappresentare il loro marchio. Al momento, solo Chiara Ferragni e pochi altri sembrano ancora considerati inaffondabili e comunque somigliano sempre più a quello che erano i vecchi “testimonial” e ricordano sempre meno la dimensione “social” dell’influencer marketing. Questo perché i grandi brand, specialmente nei settori della moda e del lusso, si stanno allontanando dal modello degli influencer e le celebrità che ne beneficiavano, che sono state il pane quotidiano di molti team di marketing, vengono lasciate indietro.
Figuracce in mondovisione
Uno dei motivi è che le grandi aziende vogliono avere un maggiore controllo su chi rappresenta il loro marchio e spesso i grandi nomi si pagano cari. Il prezzo per il brand può andare ben oltre il cachet della celebrità in questione e presentarsi sotto forma di imbarazzo collettivo e figuracce.
L’esempio recente più famoso di imbarazzo irrimediabile da parte di una celebrità lo incontriamo nel caso di Kanye West. Il rapper, che ora si fa chiamare Ye, ha fatto diversi commenti antisemiti oltre a esprimere altre opinioni politiche controverse che gli hanno alienato buona parte della fanbase e in particolare le minoranze, la comunità afroamericana e praticamente chiunque non sia un fan dell’alt-right statuintense. Di conseguenza, diversi marchi fra i quali Adidas hanno interrotto i legami con lui. Meno scandaloso a livello internazionale, ma ugualmente imbarazzante per il brand è stato il caso di Justin Bieber, che ha detto pubblicamente di non gradire i capi di abbigliamento con il suo nome prodotti da H&M. Un duro colpo per il brand, che ha ritirato la collezione, nonostante – secondo quanto sostenuto dall’azienda – il popolare cantante avesse pre-approvato l’intero progetto e i singoli design,
Controversie come quelle che sono state create dal rapper americano ormai caduto in disgrazia e dalla stella del pop canadese, in diversi momenti hanno portato a veri e propri disastri nelle PR delle aziende. In qualche caso, le celebrità-influencer erano o sono il fulcro stesso dell’azienda: basti pensare al danno d’immagine derivato per Dolce e Gabbana dalla campagna di qualche anno fa, che fece imbestialire l’intero mercato cinese e fu seguita da un video di scuse dei due stilisti che riuscì solo a peggiorare la situazione, o al fatto che l’intero board degli azionisti di Tesla abbia chiesto più volte a Elon Musk di porre un freno alle sue stravaganze social, che stanno contribuendo a far precipitare il titolo in borsa. In quei casi, purtroppo, il disastro è quasi inevitabile. Ma quando la celebrità controversa è un influencer esterno, i ponti vengono solitamente tagliati in tutta fretta.
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Celebrità esplosive e rischi per i brand
In un mondo mediatico in cui i consumatori sono più connessi che mai, il potere delle celebrità non è mai stato così amplificato. Ma questo significa anche che c’è un numero sempre maggiore di vip, piccoli e grandi, che si contendono i riflettori. Senza contare che più una personalità è di alto profilo e più è probabile che abbia un ego ingombrante e una tendenza a essere capricciosa e imprevedibile. E d’altra parte le figuracce e gli scivoloni delle celebrità attirano l’attenzione spesso più dei loro successi.
Perché i brand preferiscono i micro influencer
I micro-influencer, invece, hanno di solito un pubblico più piccolo ma più coinvolto e sono più propensi a rispondere ai messaggi. Forse non sono famosi come i top influencer, ma spesso sono altrettanto efficaci nel raggiungere il pubblico. I micro-influencer in genere non sono così controversi o scandalosi come le mega celebrità. Anche se hanno un pubblico più ristretto rispetto ad alcuni dei più grandi nomi dei social media, creano relazioni con i loro follower a livello personale, anziché limitarsi a promuovere prodotti o a fare polemica per attirare l’attenzione. Sono anche più “controllabili” nei loro messaggi, il che ci porta al paragrafo successivo.
Scelte estreme: il caso Gucci
Nel 2018, Gucci ha bandito la pratica di regalare prodotti agli influencer, al fine di garantire all’azienda il controllo totale dell’immagine del marchio. Bisogna infatti tener presente che la pubblicità tradizionale è una strada a senso unico. Il brand decide cosa creare e come distribuirlo. L’influencer marketing capovolge questo modello. Di conseguenza, i marchi devono essere più permissivi nel cedere il controllo sull’immagine che stanno cercando di creare. Gucci ha semplicemente scelto di dare un giro di vite a questa elasticità dai profili potenzialmente pericolosi.
Se per esempio un’azienda ha una politica rigorosa contro l’inserimento di prodotti o la menzione di concorrenti, gli influencer rappresentano un’incognita, sia perché possono avere altri accordi con altri brand, sia perché, semplicemente, sono spesso meno attenti di un direttore creativo. Un’altra insidia è la sovraesposizione: quando questo tipo di marketing appare calcolato e poco spontaneo, i brand corrono il rischio di sovraesporre i prodotti che promuovono o, peggio ancora, di intaccare la fiducia dei clienti. Improvvisamente, gli influencer digitali, di cui i consumatori dovrebbero fidarsi, non sono diversi dai testimonial della pubblicità.
Solo che restano, almeno in parte, fuori controllo.