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Il consumismo consapevole è una tendenza in continua crescita, che si è affermata nell’ultimo decennio, con l’acuirsi della coscienza ambientale e sociale del grande pubblico. C’è chi sostiene che, all’interno del nostro sistema di produzione, non sia comunque possibile esercitare

L’industria della moda è da sempre all’avanguardia nello sviluppo e nell’utilizzo creativo di nuovi strumenti di marketing – e l’avvento del digitale non ha fatto eccezione. Dopo tutto moda, stile e creatività vanno spesso di pari passo e non di rado creano sinergie efficacissime per attrarre l’attenzione del pubblico. Fino a una decina d’anni fa esisteva una distinzione abbastanza invalicabile fra i grandissimi brand, quelli che potevano investire milioni in promozione, e quelli che, non potendoselo permettere, rimanevano relegati in contesti meno redditizi. Negli ultimi anni, tuttavia, queste prospettive si sono fatte più fluide. Certo, c’è ancora una differenza abissale fra Dior e un piccolo brand di streetwear metropolitano, ma non è più impossibile che anche chi non ha un budget enorme possa arrivare a un pubblico vasto. La rivoluzione digitale ha cambiato questo stato di cose, ma soprattutto ha cambiato il volto del pubblico, che adesso pretende dai brand molto più che una collezione interessante e un servizio fotografico originale.

L’incremento delle vendite ormai passa, in tutti i settori, per il miglioramento dell’esperienza dell’utente. E quando si tratta di prodotti e servizi finanziari, come abbiamo già detto, l’esperienza vera e propria di utilizzo del servizio permette assai poca varietà. Bisogna quindi agire sulle esperienze che si possono controllare, e quindi sull’impatto emotivo della comunicazione che si mette in atto. Sul piano generale, un cliente già acquisito può essere soddisfatto o insoddisfatto, è importante analizzare più dati per ottenere un quadro realistico dello stato emotivo degli utenti.

A cosa serve il marketing esperienziale? La risposta è nella definizione stessa: a ridefinire l’esperienza che il cliente ha del prodotto e, di conseguenza, la sua attitudine verso il prodotto stesso e il brand. A una prima analisi potrebbe venire in mente di applicare questa filosofia solo a prodotti che, nella nostra immaginazione, costituiscono di per sé delle “esperienze”, come i viaggi, il cibo o i videogiochi. Questa visione, tuttavia, limita notevolmente le prospettive di applicazione del marketing esperienziale. Se ci fermiamo un attimo a considerare la nostra vita e il modo in cui è organizzata la società, ci accorgeremo che tutto è “esperienza”, anche ciò che ci sembra freddo o meccanico. Occorre solo mettersi d’accordo su cosa si intende per “esperienza di un brand”. Prendiamo a esempio il settore finanziario: come definiamo la nostra “esperienza” di un gruppo bancario o di un pacchetto di servizi? Solo in base al tempo che passiamo effettivamente negli uffici degli istituti in questione, o magari interagendo virtualmente con una piattaforma di home banking? Diverse campagne attuate nel settore ci dimostrano sono molti altri gli elementi che contribuiscono a definire la nostra “esperienza” di un prodotto finanziario.

L’evoluzione del marketing, negli ultimi anni, ha assunto mille forme, ma ha seguito un trend comune: quello della creazione di un rapporto sempre più stretto fra brand e pubblico. La comunicazione non è più broadcasting, ma si muove in entrambe le direzioni, si alimenta di feedback e tendenze grazie ai social e a tutti i canali digitali, si riverbera nella vita reale e trova la sua massima espressione nell’integrazione di questi due mondi. Lo strumento perfetto, in questo senso, è il proximity marketing. E il settore della moda è forse quello che beneficia maggiormente di questa integrazione.

Come si promuove un prodotto collegato principalmente a emozioni negative? Perché le assicurazioni, diciamolo, non sono esattamente una categoria di servizi che si possa facilmente associare all’allegria e alla spensieratezza, soprattutto se si spera di vendere a un pubblico di millennial (o qualsiasi definizione si voglia dare dei giovani fra i 18 e i 35 anni). Devono essersi posti queste domande, un paio d’anni fa i responsabili di marketing della compagnia di assicurazioni americana New York Life, specializzata in assicurazioni sulla vita. Questo genere di prodotti assicurativi sono particolarmente complessi da promuovere, dal momento che non c’è modo di aggirare il fatto che siano legati all’aver considerato eventualità non proprio piacevoli. In una campagna del 2016, dal titolo “Be Good At Life”, l’azienda americana è riuscita nel non facile intento di riuscire a legare questo prodotto a idee di ottimismo e positività.

Il turismo è una delle industrie portanti dell’economia italiana, in continuo sviluppo e costante evoluzione, man mano che si scoprono modi nuovi di vivere i luoghi di vacanza, le città, i borghi, i tesori naturali e quelli artistici. L’industria turistica ha contribuito in modo determinante a dare forma a quella che oggi si percepisce come l’identità nazionale italiana, attraendo capitali, generando introiti e benessere, e facendo fiorire una varietà di imprese in ogni regione e città. Negli ultimi anni, l’industria turistica italiana ha anche visto un incremento di ingressi dal continente europeo: il nostro paese ha infatti sostituito nei viaggi dei nostri “vicini” altre mete più esotiche, ma considerate meno sicure, soprattutto in Asia, Nord Africa e Medio Oriente. Questo è dunque il momento giusto per lanciare o espandere imprese in questo settore, a patto di avere una obiettivi chiari. Moltissime aziende del settore hanno scelto tecniche promozionali non tradizionali per far crescere il proprio business e il marketing esperienziale è fra le più popolari in assoluto. Dinamico, creativo, spesso meno costoso di altre tecniche, ma molto più efficace: questo tipo di marketing ha conquistato gli operatori del settore a tutti i livelli. Per garantire il successo di un brand all’interno di un’industria così vivace, naturalmente, è necessario costruire una reputazione solida e un’identità ben definita, ma anche una strategia di marketing ben articolata.

Quali sono i brand territoriali più forti? Verrebbe da pensare alle grandi metropoli occidentali e a qualche località nell’estremo oriente, ma la risposta è più complessa di così. I luoghi che possono dire di avere un brand davvero solido sono quelli che hanno lavorato per averlo, definendo non solo le caratteristiche da valorizzare, ma anche il pubblico al quale puntare e i “selling point” della propria proposta, per distinguersi dalla “concorrenza”. Le emozioni giocano un ruolo primario nella promozione territoriale e devono sempre essere considerate parte integrante della narrativa del brand. Quando si promuove un territorio, infatti, si promuovono valori, idee, sensazioni, storie e tradizioni, oltre che luoghi fisici. Come si costruisce una narrativa efficace per promuovere una città o una regione? L’esperienza ci insegna che i racconti più efficaci sono quelli che partono da una base autentica, non banalizzante, corale, appassionata e composta da più punti di vista. Il bello del marketing territoriale, infatti, è che non si deve ricorrere a nessun artificio per individuare le sfaccettature del “prodotto”: basta prendersi la briga di conoscerlo. Ogni luogo può essere raccontato da mille prospettive diverse e questo aiuta a differenziare l’offerta per fare appello a diversi profili-cliente, purché questi siano stati definiti con cura e attenzione in una fase preliminare.

In un settore come quello turistico, la creazione di una connessione emozionale con il cliente è assolutamente fondamentale. Le motivazioni personali che spingono ognuno di noi a viaggiare sono profondamente diverse e si traducono in una varietà di comportamenti e atteggiamenti che gli operatori di questa industria devono essere in grado di comprendere e intercettare. Quando questo contatto è stabilito nel modo giusto, i risultati in termini di crescita e quindi di utili possono essere stupefacenti. Spesso, quando si parla di marketing emozionale, si tende a pensare a campagne un po’ manipolatorie, che puntano a generare emozioni non sempre interamente positive. Il marketing emozionale nel settore turistico, tuttavia, ha stabilito nuovi standard, focalizzando su contenuti atti a ispirare più che a commuovere – come è facile capire quando si leggono gli innumerevoli blog di viaggio esistenti in qualsiasi lingua.

Chi si occupa di marketing, oggi, si trova davanti una sfida sempre più complessa. Da un lato bisogna creare messaggi che possano essere consumati in pochi secondi, durante un momento di attesa o mentre si consulta rapidamente un sito sullo smartphone. Dall’altro si richiedono sempre più spesso campagne ad alto contenuto emotivo, che restino impresse, che lascino il segno. Se poi si vuole raggiungere un livello di difficoltà ai limiti dell’impossibile, si può pensare di applicare questi due principi al marketing delle agenzie di assicurazioni. Riuscite a immaginare qualcosa di meno appassionante ed emotivo, ma anche qualcosa di meno adatto a essere spiegato in pochi secondi? È evidente, quindi, che i marketer che operano in questo settore abbiano un assoluto bisogno di pensare in modo creativo.

Ve lo ricordate quel tempo lontano in cui il marketing non conosceva gli influencer? In realtà questa è una domanda-trabocchetto: no, non ve lo ricordate quel periodo, perché non è mai esistito. L’influencer altro non è che l’evoluzione del testimonial, che in Italia ricordiamo fin dai primi caroselli. Una personalità in grado di catalizzare ammirazione e stima trasferisce le proprie qualità su un prodotto, “sposandone” la causa. Oggi che Carosello non c’è più e che anche le pubblicità col testimonial in senso classico ci sembrano un po’ appannate, il nuovo mezzo con il quale gli influencer dispiegano tutto il loro potenziale è Pinterest. E, se stai pensando che non avevi mai neppure sentito parlare di influencer su Pinterest, non preoccuparti: sei in ottima compagnia.

Il cibo è il prodotto per eccellenza, e come tale può sembrare la cosa più semplice da promuovere. Dopo tutto non è forse vero che tutti i nostri social sono invasi di foto di piatti più o meno artisticamente assemblati, che nei programmi tv ci sono più cuochi che telegiornali, che il food marketing è onnipresente e che il “foodporn” è una categoria fra le più frequentate su Instagram e i “foodie” sono una sottocultura in continua evoluzione? Ed è proprio perché il food marketing è così onnipresente che, nel contesto attuale, promuovere un brand alimentare con una strategia datata equivale a non promuoverlo affatto. Ed è proprio in questo settore, più che in qualsiasi altro, che il marketing esperienziale ci permette di fare davvero la differenza. Perché il cibo, rispetto agli altri prodotti, ha una marcia in più: si mangia. E quando si parla di esperienze, poter stimolare fisicamente un senso che gli altri prodotti normalmente non toccano è un vantaggio da non sottovalutare. Vediamo insieme come applicare tecniche di marketing esperienziale alla promozione dei prodotti alimentari.

Gli anni ’90 sono stati segnati, fra le altre cose, dalle campagne di Oliviero Toscani per Benetton, all’epoca considerate l’apoteosi dell’anticonvenzionalità. I concetti espressi erano legati all’integrazione e alla convivenza, ma i servizi fotografici non disdegnavano di utilizzare immagini più forti (celebre quella con i due cavalli), che spesso generavano abbastanza scandalo da strappare qualche titolo di giornale – con conseguente surplus di pubblicità per il marchio. Benetton ha mantenuto la passione per le provocazioni almeno fino alla fine della prima decade di questo secolo, quando la campagna Unhate ha generato ondate di sdegno per via dell’immagine che rappresentava un bacio fra Papa Benedetto XVI e l’Imam Ahmed el-Tayeb. Indipendentemente dalle reazioni individuali a questo tipo di immaginario, è innegabile che, in una landa piuttosto piatta di campagne fatte di modelle affamate, con espressioni più o meno altere, su sfondi variabili, sia piacevole avere qualcosa di insolito da guardare. E non c’è dubbio che, proprio grazie a questo tipo di campagne, i rispettivi brand abbiano ottenuto notevole visibilità. Ecco alcuni esempi di campagne promozionali decisamente anticonvenzionali che hanno fatto la storia della moda.

Chi lavora nel retail sa che il cliente è il centro del mondo. Questa massima resta valida anche in un mondo in cui cambiano tanto il concetto di retail quanto il concetto di cliente. Il targeting e la creazione di buyer personas diventano sempre più importanti ed emergono categorie di consumatori che vengono associati a personalità diverse. Tutti sappiamo, per esempio, che per vendere ai millennial si utilizzano tecniche diverse rispetto a quelle destinate ai baby boomers (che sono sempre di meno). Inoltre, tutti si aspettano l’emersione continua di nuove categorie, legate, se non altro al susseguirsi delle generazioni. Che cosa succede all’idea di fidelizzazione, in un contesto che si evolve così rapidamente? Naturalmente, anche la risposta del retail deve adattarsi alle condizioni del mercato. La comunicazione si distribuisce su una molteplicità di canali, cercando di ampliare costantemente il target, senza perdere di vista la necessità di personalizzare l’offerta. Ecco tre principi da tenere a mente, quando si lavora verso l’obiettivo della fidelizzazione.

Nessuna strategia di marketing, oggi, può prescindere da un uso ampio e diversificato dei dispositivi mobili. Questo vale in tutti i settori, e quello farmaceutico non fa eccezione. Anzi, proprio le particolarità di questo settore rendono particolarmente efficace la promozione che raggiunge gli utenti sui loro dispositivi mobili, che si tratti di smartphone o tablet. I vantaggi sono molteplici e si estendono a tutte le parti in causa, dai brand ai consumatori. D’altra parte la gestione della nostra salute sta beneficiando sempre più delle nuove tecnologie, molte delle quali utilizzano dati relativi alla nostra posizione. Basti pensare ai tracker che vengono usati per la corsa o la camminata, e che molti amano sfoggiare in forma di screenshot condivisi sui propri social, per comunicare ad amici e conoscenti che si è raggiunto un certo traguardo o si è percorsa una certa distanza. Abbinare il proximity marketing all’industria farmaceutica non è che un piccolo passo in più in questa stessa direzione. Vediamo insieme i vantaggi del proximity marketing nell’ambito dei prodotti legati alla salute e alla cura della persona.

Uno dei trend più popolari del marketing, negli ultimi anni, è la partecipazione dei brand al discorso pubblico su temi sociali. La vecchia tradizione che vedeva le aziende intente a mantenersi il più lontano possibile dalla politica e da ogni argomento controverso, allo scopo di non scontentare nessuna fascia di consumatori, si sta rapidamente invertendo. Il motivo è semplice: è ormai assodato come la connessione emozionale con un brand sia un elemento di fidelizzazione imbattibile. È chiaro quindi che se un brand stabilisce questo tipo di connessione con una certa fascia di pubblico, attraverso la presa di una posizione chiara su un argomento che per quel gruppo sociale è molto importante, identitario e carico di significati emotivi, quel brand si sarà assicurato una fetta di consumatori fortemente fidelizzata e poco incline a rivolgersi alla concorrenza. L’esempio più recente è quello del controverso spot della Gillette, ma i precedenti illustri non mancavano. Un esempio pratico? La coscienza sociale di Burger King.

Quanto costa acquisire un nuovo cliente nel settore assicurativo? Secondo una ricerca americana del 2015, circa cinque volte più che concludere con successo una vendita a un cliente già esistente. In un panorama commerciale che vede un incremento più o meno costante dei premi assicurativi (soprattutto nel settore delle polizze auto), questa considerazione è particolarmente significativa. Per le compagnie di assicurazioni, infatti, si rivela più conveniente investire in programmi di fidelizzazione e quindi di marketing destinato al parco clienti esistente, piuttosto che in campagne finalizzate all’acquisizione di nuovi clienti. Questo meccanismo è particolarmente chiaro se si considera come la maggior parte dei profitti delle compagnie di assicurazione derivino dal rinnovo delle polizze nel corso degli anni. Ogni cliente perso, quindi, intacca gli utili dell’azienda per anni. In questo post esploreremo alcune strategie per la fidelizzazione dei clienti nel settore assicurativo.

I trend del mercato sono fonte di continua sorpresa, anche fra chi li analizza e crede di conoscerli alla perfezione. Quello che in pochi si aspettavano, per esempio, era che la maggior parte dei consumatori (quasi l’80%, secondo un sondaggio condotto negli USA) preferisca non effettuare gli acquisti di Natale su Amazon, ma andare a caccia di regali nei piccoli negozi della propria città, preferendo gli indipendenti alle grandi catene, anche quando questo vuol dire spendere di più. Il dato più sorprendente, forse, è che questa statistica include i clienti di servizi come Prime, che spesso si associano alla passione per lo shopping online e possono indurre a credere che questo sia un’alternativa – invece che un’aggiunta – ai tradizionali processi di acquisto.

Che cosa ci aspettiamo da un supermercato di quartiere? Abbiamo le stesse aspettative che riserviamo, per esempio, a un centro commerciale? La risposta, ovviamente, è no. Queste due tipologie di punto vendita rispondono a esigenze assai diverse fra loro e vengono visitati da fasce di pubblico diverse (ma in parte sovrapponibili) in momenti diversi e per diverse ragioni. In questo post ci occuperemo specificamente del tipo di interazioni, aspettative e comportamenti che hanno a che fare con il concetto di “vicinato” applicato al retail. Per farlo, prenderemo a esempio un nome familiare a molti milanesi: il Viaggiator Goloso, che nella zona di Milano 2 ha realizzato un perfetto esempio di punto vendita pensato appunto per il vicinato.

Una delle chiavi del successo, per un brand di moda, è stabilire una forte connessione emotiva con i propri clienti. D’altra parte non è un segreto per nessuno che la moda sia uno dei comparti più fortemente legati alle scelte identitarie del consumatore. Può bastare un gesto minimo, come indossare un accessorio, per diventare parte di una sottocultura. Tuttavia, per poter trarre vantaggio da queste dinamiche, i brand devono cavalcarle con consapevolezza, comunicando con il pubblico per diventare parte di un discorso identitario coerente, che armonizzi stili di vita, estetica e scelte etiche.