Facciamo subito una premessa: non esiste il media plan infallibile. Chi dice il contrario, probabilmente non ha davvero le idee chiare su questo argomento. Però esistono, questo sì, media plan che funzionano meglio di altri, e spesso la differenza sta in cose banali che però pochi riescono a fare – o a fare nel modo giusto.
Il primo errore che ci capita di vedere, in moltissime occasioni, è la tendenza a iniziare dai canali. “Facciamo Facebook, Instagram, Google Ads” – ok ma perché? Chi dovrebbe vedere questi annunci? Cosa dovrebbero fare dopo averli visti? Perché scegliere un set di canali e non un altro? Perché scegliere un certo tipo di annunci e non un altro?
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Il primo passo è imparare a conoscere il tuo target di riferimento
Il tuo pubblico non è il pubblico di qualsiasi altro brand, di qualsiasi altro influencer e non è nemmeno una semplice statistica. Anche le ricerche di ampio respiro potrebbero servirti a poco: quello che devi fare è capire come si comportano online le persone che potrebbero effettivamente comprare il tuo prodotto/servizio. Se non hai una buyer persona, questo è il momento di costruirne una.
Per esempio, se vendi software per piccole imprese, il tuo cliente tipico magari usa LinkedIn ma solo per aggiornare il profilo quando cambia lavoro. Oppure va su Facebook ma solo per vedere video di gatti e skit divertenti. Oppure cerca su Google solo quando ha un problema urgente da risolvere. Queste informazioni, una volta ottenute e confermate, cambiano tutto. Cambia dove investire, cambia il tipo di contenuto, cambia persino l’orario in cui pubblicare.
Il bello è che spesso queste informazioni sono già disponibili: moltissime aziende le hanno già e magari neppure se ne rendono conto. Il commerciale sa benissimo come ragiona il cliente medio. Il customer service conosce i problemi più frequenti. Ma quasi nessuno pensa di chiederglielo prima di fare il piano. E qui ritorna un punto del quale abbiamo parlato spesso: prima di mettersi intorno a un tavolo a creare un piano di marketing o, in questo caso, un media plan, è bene parlare con tutti i livelli dell’azienda, non solo con chi si occupa di comunicazione. E poi ci sono le piccole tecniche che non tramontano mai, per esempio chiedere ai clienti (online, attraverso un form o di persona, a seconda delle dimensioni della clientela) “dove hai sentito parlare di noi la prima volta?”. Le risposte possono essere illuminanti.
Gli obiettivi giusti
“Aumentare la brand awareness” non è un obiettivo. O, meglio, lo è, ma è come dire che ci farebbe piacere vendere di più: un’ovvietà. È il blocco di partenza, non la linea di arrivo. Un obiettivo vero è misurabile, come per esempio “portare 100 persone in più al mese sul sito” oppure “far scaricare il catalogo a 50 persone”. Qualcosa che si può verificare, insomma. Altrimenti, come faremo a sapere se la campagna nella quale abbiamo investito tempo e denaro è servita a qualcosa? Come potremo decidere se valga la pena di programmarne un’altra o se sia il caso di cambiare strada?
E poi bisogna essere onesti sui tempi. La SEO ci mette mesi per dare risultati. Le campagne Facebook possono funzionare subito oppure mai. Il content marketing rischia di essere lentissimo ma poi dura negli anni.
Chi promette risultati veloci su tutto probabilmente non sa di cosa parla. O peggio, lo sa ma mente.
La tua brand awareness online è solo il primo passo
Ormai lo sappiamo tutti: se non esisti online è come se non esistessi affatto. Punto. Non è una questione generazionale, è proprio così e continuerà a essere così. Anche il consumatore più anziano e meno tecnologicamente capace cerca su Google il nome del ristorante prima di andarci. E se non trova niente, o trova recensioni negative, cambia idea.
Per le aziende che lavorano in un contesto B2B, questo vale ancora di più. Il primo contatto è quasi sempre digitale. Quindi bisogna esserci, e bisogna esserci bene.
Ma “esserci” non significa essere ovunque. Meglio essere bravi su 2-3 canali che mediocri su 10. Le risorse sono limitate, meglio concentrarle. Una cosa che ci capita sempre più spesso di notare: le aziende che danno il meglio online non sono quelle che spendono di più, sono quelle più coerenti. Stesso tono, stesso messaggio, stessa qualità su tutti i canali.
Scegliere i canali (senza farsi prendere dalle mode)
Ogni anno esce la piattaforma del momento. Un paio di anni fa era Clubhouse, ve la ricordate? Sembrava il futuro, adesso è perfettamente irrilevante. TikTok, per le aziende, è ancora molto rilevante, Twitter è inavvicinabile e potenzialmente pericolosa, Bluesky e Mastodon non sono particolarmente adatte alla comunicazione aziendale e non è detto che lo diventino, in compenso Whatsapp si modifica per somigliare sempre più a un social network o a un canale di broadcasting.
Il punto è che correre dietro alle novità è quasi sempre una perdita di tempo. Meglio fare bene sui canali consolidati che male su quelli nuovi. LinkedIn funziona per il B2B. Google Ads funziona per chi ha fretta. Facebook e Instagram per il B2C. Sono banalità ancora vere, per il momento.
Poi ovviamente ci sono le eccezioni. Ma se sei all’inizio, parti dalle basi. Le eccezioni vengono dopo, quando il tu brand ha già imparato a camminare con le sue gambe. Una regola che puoi usare è questa: se non riesci a spiegare in 30 secondi perché dovresti usare quel canale, probabilmente non dovresti usarlo, almeno per il momento.
Il budget e gli sprechi da evitare
Quante volte ci capita di sentire la frase “abbiamo un budget di X euro, cosa possiamo fare?” La domanda giusta sarebbe “vogliamo ottenere questo risultato, quanto ci serve spendere?”. Ovvero, prima vengono gli obiettivi, poi il budget. Non il contrario.
E comunque, quasi qualsiasi cifra può essere grande o piccola a seconda di cosa si vuole fare. La stessa cifra che dura una settimana per una campagna Google Ads generica, per una strategia content a lungo termine può bastare per mesi.
Controllare che funzioni (senza diventare matti)
I dati sono importanti ma non bisogna diventarne schiavi. Ho visto gente che controllava le statistiche tre volte al giorno e poi prendeva decisioni sbagliate perché si faceva prendere dall’ansia. Una volta alla settimana basta. E bisogna guardare le metriche giuste, non quelle che fanno piacere.
I like su Instagram sono carini ma non pagano l’affitto. Il traffico sul sito è bello ma se poi nessuno compra non serve a niente. Quello che conta davvero sono le conversioni. Quante persone hanno fatto quello che volevamo che facessero? Tutto il resto sono dettagli.
Cambiare quando serve (ma non troppo spesso)
Da quando tutta la nostra vita si svolge online, abbiamo imparato ad adattarci a un mondo digitale che cambia molto velocemente, questo è vero. Ma, dobbiamo ammetterlo, non cambia certo così velocemente da giustificare un cambio di strategia ogni mese.
Prima di cambiare qualcosa bisogna essere sicuri che non stia funzionando. E per essere sicuri servono almeno 2-3 mesi di dati. A volte di più. Abbiamo visto aziende mollare campagne che stavano iniziando a funzionare solo perché erano impazienti. È un peccato.
Allo stesso tempo, quando una cosa proprio non va, bisogna avere il coraggio di fermarla. Anche se ci si era affezionati, anche se sulla carta doveva funzionare.
In conclusione (se si può dire così)
Un media plan che funziona non è il più complicato o il più innovativo. È quello più adatto a quella specifica azienda, in quel momento specifico, con quelle risorse specifiche. Non esiste il template perfetto. Non esistono le ricette magiche. Esiste solo il buon senso applicato al digital marketing.
Ah, e una cosa importante: il piano va aggiornato. Non è una cosa che si fa una volta e poi si dimentica nel cassetto. È un documento vivo che cresce con l’azienda. Tutto qui. Semplice? Sulla carta sì. Nella pratica… beh, se fosse facile lo farebbero tutti bene. E invece non è così ed è per questo che è importante rivolgersi a un’agenzia di professionisti, anche per questo.
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