“I centri commerciali fanno ormai parte del passato” questo ha detto qualche tempo fa Jeff Bezos, CEO di Amazon e uomo più ricco del mondo, in un’intervista a Wired. E c’è da credere che i proprietari delle grandi catene di retail abbiano iniziato a sudare freddo. Quando uno che aveva previsto l’Internet Of Things nel 1999 e l’ascesa dell’e-commerce nel 1995 predice la tua fine, non deve essere una bella giornata. Soprattutto quando i dati sembrano dargli ragione: le stime attuali, negli Stati Uniti, sembrano puntare verso una chiusura di quasi un quarto dei centri commerciali del paese. Nonostante questo, la fine del retail non è una profezia universalmente accettata: c’è anche chi si impegna per creare scenari diversi. Ecco come (e soprattutto perché).
Profezie che si auto-avverano (non solo per i centri commerciali)
Jeff Bezos non è un veggente, ma un imprenditore. E si potrebbe quasi pensare che le sue affermazioni sui centri commerciali non siano tanto profezie, quanto dichiarazioni di intenti coerenti con la sua strategia di espansione. D’altra parte non è difficile pronosticare la fine della vendita al dettaglio, quando si è il CEO di un’azienda di e-commerce la cui scalata al mercato consiste nel vendere gli stessi prodotti del retail sottocosto, anche andando in perdita, pur di sbaragliare la concorrenza dei negozi tradizionali. I detrattori tendono quindi ad accusare Bezos non tanto di aver previsto la crisi dei centri commerciali, quanto di averla causata. Sempre in vena profetica, tuttavia, il CEO più mediatico dell’ultimo decennio ha anche elaborato sulla propria teoria, sostenendo che, per sopravvivere, i retailer avrebbero dovuto offrire o convenienza immediata (difficile, quando la concorrenza vende sottocosto) o un valore intrinseco di intrattenimento. E su questo punto i retailer non si sono fatti trovare impreparati.
Il gioco degli specchi (interattivi)
Il futuro dei centri commerciali? È tecnologico e, per alcuni, è già iniziato. La parola chiave è “esperienza”: quella del cliente, che deve essere unica, memorabile, qualcosa che dalla scrivania di casa non sia possibile replicare. E per costruire un’esperienza di qualità bisogna prima di tutto correggere quelle che non funzionano. E qual è la parte peggiore della visita a un qualsiasi negozio o centro commerciale? Se c’è di mezzo l’abbigliamento, certamente il trauma dei camerini: nessuno ha voglia di fare lunghe file e cambiarsi in uno spazio angusto, davanti a una luce spietata che farebbe sembrare goffo e brutto anche un modello di Ralph Lauren. L’esempio non è scelto a caso: è stato proprio il flagship store di Ralph Lauren a Manhattan a rivoluzionare quest’esperienza, sostituendo gli specchi dei camerini con display rilfettenti interattivi, che permettono al cliente di analizzare i capi, sistemare le luci per vedersi al meglio, richiedere altre taglie dello stesso capo tramite touch screen. Amazon, per contro, tiene il passo mettendo in commercio un modello di specchio interattivo, pensato per spazi non-retail, che funziona come un enorme filtro di Snapchat per tutto il corpo, permettendo di “provare” virtualmente capi di abbigliamento e accessori.
High-tech retail nei Microsoft store
Se qualcuno doveva rivoluzionare lo spazio del retail, perché non un brand super tecnologico? Microsoft ha deciso di dare ai propri clienti un buon motivo per acquistare i prodotti in negozio invece che online, creando combinazioni “super-display” nei quali il visitatore si trova completamente immerso. Gli schermi “rivestono” l’interno negozio e le immagini scorrono dall’uno all’altro creando un’esperienza che l’utente vive a 360°, con contenuti che vanno dall’intrattenimento alle informazioni sui prodotti, dagli aggiornamenti su eventi e news locali fino all’invito ad attività interattive, come videogame e percorsi virtuali.
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Conclusioni
La fine del retail è stata prevista più volte, così come la fine dei libri cartacei, della musica d’autore, del cinema. Ogni volta che un nuovo strumento arriva sul mercato, c’è chi si lascia tentare dallo scenario apocalittico. E se la soluzione fosse, banalmente, l’evoluzione?