L’obiettivo dei marketer più capaci e aggiornati, oggi, è puntare a una customer experience completamente personalizzata, che porti i brand a conoscere così bene il cliente da anticiparne le esigenze. Non è facile portare a casa questo risultato, ma lavorare bene in questo senso significa attuare una fidelizzazione che diventerà il motore principale delle successive campagne promozionali. Nonostante l’appeal della personalizzazione, tuttavia, molti marketer sono in ritardo nella sua attuazione o incontrano diversi ostacoli sulla loro strada. Questo accade principalmente perché sono sempre maggiori le difficoltà legate alla raccolta e all’utilizzo delle informazioni necessarie, da quelle relative ai gusti dei possibili clienti alla loro posizione geografica o ai dispositivi multimediali utilizzati, tutti strumenti necessari alla realizzazione di campagne tarate su profili specifici e non generici.
Perché la personalizzazione è efficace nel marketing
La personalizzazione è descritta spesso come la migliore tra le strategie di marketing e di sicuro la sua efficacia è stata dimostrata in più occasioni.
Secondo una ricerca di Forrester, ad esempio, le e-mail personalizzate possono aumentare i clic del 20% e i tassi di conversione del 10%. La stessa ricerca ha inoltre rilevato che le campagne e-mail personalizzate generano quasi il doppio delle vendite rispetto a quelle non personalizzate.
Inoltre, la personalizzazione è efficace anche perché crea quella fiducia tra marchio e cliente che è particolarmente importante nel marketing B2B, dove relazioni positive e la costruzione di una buona reputazione sono fondamentali per il successo di un’impresa.
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Una strategia vincente, ma complicata da attuare
Nonostante le tecniche di personalizzazione siano indispensabili, nel digital marketing, la loro implementazione è tutt’altro che facile. Un rapporto di Ascend2, pubblicato su eMarketer, ha in realtà rilevato che per quasi due terzi dei marketer (63%) la personalizzazione risulta la strategia più difficile da attuare.
Un’altra complicazione è rappresentata dall’incredibile quantità di dati attualmente disponibili. Se un tempo i brand profilavano un consumatore in base a una serie di fattori come l’età, il sesso, l’ubicazione e lo stato finanziario, infatti, ormai questo non è più sufficiente. Oggi i brand vogliono sapere che tipo di smartphone usano gli utenti di riferimento, le loro app preferite e persino come si muovono su Tinder, quando visualizzano i profili di potenziali match. Una mole di dati che rappresenta una sfida enorme per le aziende: come fare per acquisire tutte le informazioni che risultano rilevanti, ai fini dell’acquisizione di nuovi clienti?
Gli ostacoli a un’esperienza completamente personalizzata non riguardano però solamente i brand. Anche i consumatori, infatti, sperimentano quella che Jeremy Hlavacek, responsabile delle entrate di IBM Watson Advertising, definisce “dissonanza cognitiva”, quando si tratta di strategie di personalizzazione.
Se, da un lato, i consumatori rendono esplicita la volontà di ricevere pubblicità personalizzata e allineata ai loro gusti, dall’altro stanno mostrando una marcata sfiducia nei confronti del modo in cui le promozioni “invadono il loro spazio privato”.
Per questa ragione, i brand che attuano la personalizzazione dovranno mostrare di salvaguardare adeguatamente i dati dei loro clienti e dovranno fare in modo che si sentano tranquilli, quando condividono informazioni che riguardano la loro sfera privata. Un marketing efficace non potrà dunque che essere anche un marketing responsabile, in grado di rendersi degno della grande fiducia accordata da chi rende disponibili i suoi dati.
Tutte le aziende dovrebbero tenere conto di questa tendenza, che ha il potere di influenzare in modo significativo il modo e il contesto in cui operano. La trasparenza e la comunicazione diventeranno quindi sempre più importanti per mantenere la fiducia dei clienti, acquisiti e potenziali.