3 Tendenze che stanno cambiando il marketing.
Viviamo in tempi interessanti.
Da certi punti di vista, anche troppo.
Quello che è certo è che chi si trova a occuparsi di marketing oggi, soprattutto se lo fa dai tempi in cui la comunicazione era ancora prevalentemente offline, ha visto cambiare più volte completamente lo scenario di questa professione.
A stravolgere il modo di lavorare, il modo di acquistare, il modo di concepire il rapporto fra esseri umani e brand sono tantissimi fattori:
- lo sviluppo in progressione geometrica delle tecnologie
- I cambiamenti sociali profondi che derivano da una crescente interconnessione e dall’accresciuta sensibilità a certi temi
- La rapidità dell’informazione e la delocalizzazione dei processi.
Per questo, di tanto in tanto, occorre fare un po’ di pulizia e verificare cosa ne sia stato delle “colonne portanti” del nostro mestiere. Perché anche le più assolute certezze, in questo ambito, potrebbero non essere destinate a rimanere tali.
Per questo ho deciso di fare una brevissima lista di tendenze che arrivano, soppiantandone altre che se ne vanno.
Addio agli “imbuti” e via libera ai contenuti “shoppable”
Già spaventati dai termini fra virgolette?
Niente paura, è più semplice spiegare di cosa si tratta che riassumerlo in un titolo.
L’imbuto, in inglese “funnel” è la metafora che, da tempo immemore, viene utilizzata per descrivere il percorso che porta il cliente dal primo contatto con il brand (la parte “larga” dell’imbuto, quella in cui il cliente si può ancora “perdere”) fino all’acquisto (quella “stretta”, con il sottinteso significato che, se riusciamo a farlo arrivare fino a questo punto, il cliente non avrà più scelta e finirà per comprare. La metafora in sé è bruttina, perché suggerisce un’idea di coercizione e, con il proliferare di nuovi comportamenti di acquisto guidati dai social, non è neanche più accurata. La tradizione vuole che le offerte e i messaggi siano molto diversi fra loro, nelle varie fasi del funnel.
Le nuove tendenze in materia di acquisti online,
però, hanno fatto collassare completamente questo modello e quello a cui assistiamo oggi è un’esperienza di acquisto molto meno strutturata, che spesso passa in pochi click e in pochi secondi dal primo contatto all’acquisto o che si sviluppa in modo più erratico, influenzata da fattori esterni. Per questo motivo, invece di concentrare l’energia sul “rush finale” del nostro vecchio “imbuto”, oggi è molto più utile rendere semplice e immediato l’acquisto in tutte le fasi del contatto fra brand e cliente. Tutto ciò che può essere “shoppable” dovrebbe esserlo: il compito del brand e del marketer è rimuovere gli ostacoli fra il cliente e la soddisfazione del suo desiderio, che questo sia estemporaneo o ponderato.
Addio ai cookie di terze parti, benvenuti “first-party data”
L’addio ai cookie di terze parti non è tanto una tendenza quanto una legge. La società, dimostrando che anche l’evoluzione della tecnologia non è un meccanismo inarrestabile, ha detto chiaro e tondo che questo genere di acquisizione e utilizzo dei dati degli utenti non è più accettabile.
Come targettizzare il pubblico, dunque? Chiedendo le informazioni che ci servono.
Questo è un modo molto crudo per definire i cosiddetti “first-party data”, ovvero i dati che vengono forniti direttamente dal cliente, in modo consapevole e con una scelta libera, determinata dal un rapporto di fiducia nel brand e nell’uso che verrà fatto dei dati, ma soprattutto da una contropartita di valore. Questa tendenza fa parte, in effetti, dello stesso movimento che si allontana sempre di più dalla visione del cliente come una “preda” da catturare e sempre più come un soggetto la cui volontà è una parte fondamentale della relazione con il brand.
Addio alla settorializzazione, benvenuta collaborazione fra prodotto e marketing
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