Happy hour marketing Gennaio 24, 2019

Burger King e la net neutrality – il marketing delle emozioni scende in campo

Uno dei trend più popolari del marketing, negli ultimi anni, è la partecipazione dei brand al discorso pubblico su temi sociali. La vecchia tradizione che vedeva le aziende intente a mantenersi il più lontano possibile dalla politica e da ogni argomento controverso, allo scopo di non scontentare nessuna fascia di consumatori, si sta rapidamente invertendo. Il motivo è semplice: è ormai assodato come la connessione emozionale con un brand sia un elemento di fidelizzazione imbattibile. È chiaro quindi che se un brand stabilisce questo tipo di connessione con una certa fascia di pubblico, attraverso la presa di una posizione chiara su un argomento che per quel gruppo sociale è molto importante, identitario e carico di significati emotivi, quel brand si sarà assicurato una fetta di consumatori fortemente fidelizzata e poco incline a rivolgersi alla concorrenza. L’esempio più recente è quello del controverso spot della Gillette, ma i precedenti illustri non mancavano. Un esempio pratico? La coscienza sociale di Burger King.

📌 Che cos’è la net neutrality

Burger King si era già distinta per un toccante spot contro il bullismo, nel 2017. Nel 2018, invece, uno dei temi più caldi e polarizzanti della politica americana è stata la cosiddetta “net neutrality”. Spiegare un argomento così complesso in poche parole non è semplice, ma la si può riassumere come una questione che, in Italia, sarebbe affidata all’antitrust. In breve, i principali internet provider americani, che non di rado offrono servizi a pacchetto (rete mobile, adsl, social, tv, gaming, etc.), hanno fatto pressioni sulle istituzioni pubbliche per essere autorizzati a restringere l’accesso a internet di certi utenti. Lo scopo dei brand è ovviamente quello di spingere gli utenti a pagare di più per avere un servizio più veloce e funzionale (ovvero per non essere condannati a un servizio che non funzioni affatto). Le preoccupazioni dei critici hanno a che fare sia con la limitazione di quello che è ormai considerato un servizio di primaria importanza, sia con il rischio che queste restrizioni vengano applicate a produttori di contenuti non graditi a certe forze economiche e politiche.

  La campagna instore

Uno degli aspetti più interessanti di questa campagna di Burger King è la sua stessa natura di campagna instore. Laddove la tendenza principale, per i brand che vogliano occuparsi di temi sociali, è quella di produrre uno spot per la tv o per le piattaforme online, Burger King ha scelto invece un’attivazione esperienziale, che rendesse chiaro l’impatto di certe modifiche alla net neutrality. La metafora utilizzata era perfettamente calzante. Una telecamera nascosta è stata collocata in un punto vendita Burger King, per registrare le reazioni dei clienti, ai quali venivano proposte due opzioni per avere lo stesso tipo di hamburger. Quando i clienti sceglievano l’opzione a prezzo standard, il personale forniva un servizio intenzionalmente più lento, facendo aspettare i clienti molto più del normale senza alcun ragionevole motivo. Chi invece pagava un supplemento riceveva il normale servizio Burger King, ottenendo lo stesso prodotto in tempi normali. Naturalmente, la clientela non ha gradito affatto il cambiamento.

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Il valore aggiunto della rabbia

In questa particolare campagna, Burger King ha scelto di prendere un’altra strada, rispetto allo spot sul bullismo. Lo scopo di quest’ultimo, infatti, era stabilire con il pubblico una connessione emozionale che facesse perno sulla commozione, sulla sofferenza che deriva dal senso di ingiustizia e sul conforto morale che deriva dal desiderio di correggere ciò che non funziona nel mondo. Questa attivazione, invece, intendeva far arrabbiare il pubblico. Invece di indignarsi per l’ingiustizia subita da qualcuno, i clienti sono stati messi nella posizione di subire un’ingiustizia in prima persona e, quindi, di reagire con rabbia e fastidio, di protestare. Ed è esattamente questo che la campagna intendeva fare: spingere il pubblico a protestare contro un regolamento, quello sulla net neutrality, percepito come ingiusto e potenzialmente cause di disparità fra i cittadini.

 

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