Chi segue il calcio avrà già sentito parlare del VAR. Questo acronimo, che sta per “Virtual Assistant Referee” si riferisce a quella tecnologia che ha creato non poco scompiglio fra gli sportivi. Secondo molti esperti, il VAR “risolve più problemi di quanti ne crea”, permettendo di rivedere le azioni di gioco e supportare le decisioni dell’arbitro. Come per tutte le tecnologie di successo a rapida diffusione, naturalmente, era solo questione di tempo prima che qualcuno notasse anche il suo potenziale nell’ambito del marketing.
La Fifa stessa, infatti, ha iniziato ad esplorare le possibilità di sponsorship che si legano al VAR, con contratti a nove cifre per gli stacchi pubblicitari non programmati che si verificano durante le partite.
Dove c’è uno spazio, c’è un prodotto
Perché il VAR dovrebbe rappresentare un’opportunità di promozione? Semplice: perché la sua consultazione richiede un’interruzione del gioco, che si traduce – per i canali televisivi che trasmettono la partita – in un certo numero di secondi nei quali non viene inquadrata l’azione in campo. Questo crea dei vuoti nel flusso della trasmissione e, come è ovvio, la prima parola che viene in mente quando si tratta di riempire un vuoto di contenuti è “sponsor”.
Di quanto tempo stiamo parlando?
In un intero campionato, nel quale il VAR sia utilizzato in tutte le partite, si calcola circa una mezz’ora di interruzione complessiva (il calcolo è stato fatto durante i mondiali del 2018). Se si conta che gli spazi pubblicitari per questo tipo di evento vengono venduti, in media, a mezzo milione di euro al minuto, è facile capire perché la dirigenza Fifa abbia deciso di capitalizzare sugli “effetti collaterali” del VAR.
Questione di attenzione e posizionamento: perché il VAR è una possibilità senza precedenti per gli sponsor
A essere entusiasti dell’idea non sono solo coloro che dovranno vendere questi spazi, ma anche gli sponsor che si apprestano ad acquistarli. Nonostante i prezzi esorbitanti, infatti, si prevede che la vendita di spazi pubblicitari ricavati dai tempi di consultazione del VAR possa garantire un ROI assai più alto dei placement tradizionali.
Una caratteristica di molti spazi pubblicitari venduti in concomitanza delle partite, infatti, è quella di essere collocati “a lato”, fisicamente o cronologicamente, dell’azione.
Questo vuol dire che l’attenzione degli spettatori raggiunti dal messaggio sarà molto poco ottimizzata.
Il brand in tale caso è collocato fisicamente ai margini dell’azione o perché viene mostrato subito prima dell’incontro (quando lo spettatore è proiettato su altro) o subito dopo, quando è già disinteressato, o durante gli intervalli, che non garantiscono un adeguato livello di attenzione.
Gli spazi derivati dal VAR, invece, si collocano nel pieno dell’azione, quando lo spettatore è interamente focalizzato su quanto avviene sullo schermo.
Problemi e sviluppo del “VAR marketing”
L’adozione regolare del VAR come strumento di marketing, tuttavia, potrebbe non essere proprio imminente. I tifosi, infatti, non sono entusiasti delle continue interruzioni che questa tecnologia determina. La Fifa si è impegnata a garantire uno svolgimento delle partite che sia godibile per gli spettatori. Questo vuol dire che, prima di diventare fonte di reddito per gli advertiser, il VAR dovrà essere adattato e migliorato in modo da non costituire un elemento di disturbo per chi segue le partite.