Il primo impatto del deepfake sulle nostre vite è stato abbastanza traumatico, ammettiamolo. Ma può essere il deepfake uno strumento di marketing?
Uno dei primi video deepfake a diventare virali è stato quello di Barak Obama, nel quale la voce di un ottimo imitatore veniva utilizzata per creare una replica digitale perfettamente credibile dell’ex presidente USA. Il video è stato rilanciato dalla BBC.
Le reazioni sono state un mix di curiosità e panico. Per moltissimi, infatti, questa tecnologia non era che la porta di un’epoca di complotti internazionali e competizione politica sleale. Con un video deepfake, infatti, è teoricamente possibile screditare qualcuno in una posizione pubblica, attribuendogli affermazioni contrarie al suo pensiero.
La buona notizia è che abusare dei deepfake non è facile come si pensava e gli strumenti per valutare l’autenticità di un filmato non mancano (come non mancano, comunque, i tentativi di utilizzare tutte le nuove tecnologie per scopi discutibili).
La domanda, a questo punto, è un’altra: se i deepfake non sono pericolose armi di lotta politica, cosa sono? La risposta non ha tardato ad arrivare: sono strumenti di marketing digitale. Eccoci qui a parlare di deepfake marketing.
D’altra parte le possibilità di intrattenimento sono pressoché infinite.
I marchi sono però ancora dubbiosi sull’opportunità di utilizzare questa tecnologia, per motivi legati alla percezione della stessa da parte del pubblico. Se, infatti, una tecnologia si afferma universalmente come sinonimo di “truffa”, di menzogna e di disonestà, perché un brand dovrebbe scegliere di implementarla nella propria campagna e quindi associare il proprio nome a queste qualità?
Una risposta univoca è ancora da definire, ma è possibile fare alcune ipotesi.
Come si cambia la percezione generale di una tecnologia?
Certamente non attraverso saggi sociologici su come le tecnologie siano neutre e sia il loro utilizzo da parte delle persone a determinarne gli effetti. Questo tipo di contenuti tende a non arrivare al grande pubblico e difficilmente scalfisce i pregiudizi che si creano soprattutto su temi complessi come quello dell’intelligenza artificiale.
Una buona alternativa può essere quella di diffondere esempi pratici di come questo tipo di tecnologie si possano utilizzare in modo sicuro e divertente.
Cosa può rendere “sicura” una tecnologia come quella del deepfake? Per esempio il renderla ovvia e lampante. Uno splendido esempio che è diventato virale di recente è quello della superimposizione della faccia di Sylvester Stallone al giovanissimo Macaulay Culkin di “Mamma, ho perso l’aereo” (in inglese “Home Alone”) nel recente e divertentissimo “Home Stallone”
In questo caso l’uso della tecnologia è talmente palese che la paura principale legata al deepfake, ovvero quella di essere “imbrogliati” decade immediatamente.
Un altro esempio positivo è la campagna “Malaria Must Die”, nella quale appare David Beckham, che parla in molte lingue diverse, esponendo il problema sociale e medico rappresentato dalla malaria.
In questo caso l’ovvietà della manipolazione (Beckham passa senza battere ciglio da una lingua all’altra, cambiando voce, poiché viene “doppiato” da alcuni medici esperti di questa patologia) serve a cancellare il “timore” istintivo dello spettatore di venire “imbrogliato” dalla tecnologia e aiuta a focalizzarsi solo sul messaggio.
L’altra faccia della medaglia, per i brand, riguarda però la possibilità di difendersi nel caso un deepfake marketing venisse creato per screditare il brand.
In questo caso la risposta è nella prevenzione.
Un modo relativamente semplice di scongiurare problemi di questo genere è quello di avere sempre molto materiale video di “backstage” nel corso di eventi, conferenze stampa, presentazioni e interviste. Avere a disposizione lo stesso evento o lo stesso discorso ripreso da più angolazioni può essere un ottima assicurazione contro eventuali manipolazioni malevole del video principale. Keep calm and archive!
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