Il rebranding è una fase della vita di un’azienda che capita più spesso di quanto si creda. E non vuol dire necessariamente che un brand, fino a quel momento abbia sbagliato direzione o che i risultati ottenuti in termini di presenza sul mercato non siano stati positivi: il più delle volte il rebranding è il segno di un marchio che si evolve con i tempi per restare rilevante per il proprio pubblico. Ne è una prova il fatto che perfino il brand più solido del mondo ha affrontato più di un’operazione di rebranding, apportando continui aggiustamenti alla propria identità. Stiamo parlando di Google.
Davvero Google ha bisogno di un rebranding?
Sembra incredibile che il prodotto più universalmente usato del mondo abbia ancora bisogno di marketing. Perché mai dovrebbe avere bisogno di un rebranding? Il punto è tuttavia un altro: cosa intendiamo per rebranding? Non sempre con questo termine si indica un restyling completo, con cambio di nome, di mission e con alterazioni significative del prodotto. A volte le modifiche sono molto più sottili, come il restyling di Google AdWords, che dopo 18 anni di onorata carriera è diventato Google Ads. O come la decisione di presentare i banner contenenti mappe con la dicitura “Maps by Google” invece che “Google Maps”. Sono davvero cambiamenti significativi? È tutta una questione di identità.
Una Questione di personalità
La strategia che sta alla base del rebranding di Google ha, ovviamente, una direzione molto precisa. La mission è ancora praticamente identica a quella che il brand dichiarava dieci anni fa: aiutare le persone, fornire servizi che rendano più facile la vita quotidiana di tutti. Non si tratta, quindi, di una corsa alle ultime tecnologie. Le tecnologie sono un mezzo per raggiungere l’unico vero scopo dell’azienda: essere utile a tutti, in tutto il mondo. A essere cambiato, però, è il panorama tecnologico. La domanda quindi è: come si veicola la personalità del brand nella seconda decade del XXI secolo? In molti ricorderanno la campagna “Parisian Love” del 2009, con la quale Google presentava tutti i servizi sviluppati nei dieci anni precedenti all’interno di uno storytelling ad alto contenuto emotivo. La nuova sfida del brand è elaborare un messaggio equivalente per raccontarsi nell’epoca delle app, in un momento in cui la diffidenza verso i giganti della tecnologia e i timori per la privacy degli utenti hanno raggiunto i massimi storici.
Ascoltare il mercato
Un brand come Google ha senza dubbio un vantaggio: quando si tratta di analizzare i trend del mercato, i desideri e le abitudini dei consumatori, non ha bisogno di guardare molto lontano. Quando si è il servizio di online advertising più utilizzato del mondo, è facile mantenere un contatto diretto con gli utenti e avere una visione chiara delle tendenze del mercato. Un esempio palese è la fusione fra Google Analytics 360 e DoubleClick, che è stata la conseguenza di un’analisi del comportamento dei clienti. È emerso infatti che coloro che acquistavano i prodotti di Google Ads non erano evidentemente soddisfatti degli strumenti messi a loro disposizione per creare, pianificare e misurare i risultati delle loro campagne e in molti utilizzavano i prodotti DoubleClick per sopperire a queste mancanze. Questo è solo uno degli esempi di come un’azione di rebranding possa partire anche “dal basso”.
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