Happy hour marketing Aprile 18, 2023

SIAE vs META: che cosa è successo e perché è importante per l’industria del marketing

Che cose è successo veramente fra Meta e SIAE? Tutti, in Italia, si sono resi conto degli effetti dello scontro fra questi due soggetti, che sono molto diversi fra loro per scopi e ambito di riferimento, ma pochi sanno davvero perché tale scontro si sia verificato. In molti casi, nemmeno coloro i cui interessi sono maggiormente danneggiati (ovvero i musicisti e i produttori di musica) hanno un quadro chiaro dei motivi che hanno portato alla situazione attuale. Ciò che è evidente è che moltissimi brani musicali non sono più disponibili e sincronizzabili sui contenuti online gestiti da Meta, ovvero su Facebook e Instagram. Che cosa è accaduto? E che effetti può avere questo fenomeno sull’industria musicale e della comunicazione in Italia? Vediamolo insieme.

COSA DICE LA DIRETTIVA EUROPEA SUL COPYRIGHT

Prima di tutto occorre considerare la Direttiva sul Copyright approvata nel 2019 dal Parlamento Europeo e recepita in Italia alla fine del 2021. Nell’ articolo17 di tale direttiva si stabiliscono gli obblighi delle grandi piattaforme e la categoria di servizi nella quale queste ultime rientrano, portando un cambiamento sostanziale nella gestione delle opere protette da diritto d’autore da parte di questi giganti della tecnologia.

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Secondo la direttiva, infatti, i prestatori di servizi di condivisione di contenuti online (come Meta), quando, nel permettere la pubblicazione di opere protette dal diritto d’autore all’interno di contenuti caricati dagli utenti, compiono un atto di comunicazione al pubblico o un atto di messa a disposizione del pubblico di materiali protetti, per i quali devono ottenere un’autorizzazione dai titolari dei diritti. Tale autorizzazione potrebbe avere, per esempio, la forma di un accordo di licenza. Questo tipo di accordo, a grandi linee, si può ottenere direttamente (per esempio con un produttore musicale o un editore musicale che detiene determinati diritti) oppure attraverso gli organismi di “collecting” come, appunto, la SIAE.

La differenza rispetto a prima è l’obbligo: il prestatore di servizi online deve avere una licenza e, in Italia, questo vuol dire negoziare con la SIAE.

Le piattaforme, però, negoziano normalmente con i produttori e lo fanno a livello globale – che è poi il motivo per cui è facile trovare sulla library di Instagram un brano di una grande etichetta mondiale da sincronizzare sulle proprie storie, ma solitamente non si troveranno quelli di piccoli artisti indipendenti. Per questi ultimi ci sono degli aggregatori, altra categoria con la quale Meta ha già in essere diversi accordi. Questi accordi, conformemente alla direttiva, coprono sia la condivisione “ufficiale” per esempio sui profili delle etichette o in prodotti multimediali commerciali quanto l’UGC.

In mancanza di tali accordi, la piattaforma è responsabile di violazioni anche se a caricare il contenuto sono stati gli utenti.

COME È ANDATO IL NEGOZIATO FRA META E SIAE

Meta e SIAE hanno negoziato l’autorizzazione di cui sopra, cercando soprattutto una soluzione economica per l’utilizzo dei brani di competenza della società di collecting italiana. I negoziati, però, si sono conclusi in un nulla di fatto, poiché le due parti interessate non sono riuscite a trovare un accordo.

SIAE ha accusato Meta di aver rifiutato “di condividere le informazioni rilevanti ai fini di un accordo equo in contrasto con i principi sanciti dalla Direttiva Copyright”, il che vuol dire che l’azienda americana non ha messo a disposizione della controparte i dati necessari a capire la diffusione effettiva dei contenuti protetti dalla SIAE sulle sue piattaforme. Tali dati sarebbero stati indispensabili per individuare i termini di una ripartizione equa degli utili. In loro assenza è possibile solo un calcolo forfettario che, secondo SIAE e secondo molti esperti italiani del settore, si risolverebbe inevitabilmente a svantaggio dell’industria musicale italiana.

Questo rifiuto, inoltre, è in contrasto con la legge italiana, che prevede che i soggetti ai quali sono stati concessi in licenza o trasferiti i diritti hanno l’obbligo di fornire agli autori ed esecutori, anche tramite gli organismi di gestione collettiva come la SIAE, informazioni aggiornate e complete sullo sfruttamento delle opere e la remunerazione dovuta, almeno ogni sei mesi.

A complicare la situazione è il fatto che moltissimi soggetti coinvolti nella produzione di brani musicali, che hanno già una licenza con Meta (per esempio per mezzo di etichette globali), ma i cui brani sono stati rimossi dalla piattaforma dopo il mancato raggiungimento dell’accordo della piattaforma con SIAE.

PERCHÉ LA SCELTA DI META È STATA CRITICATA E COSA CAMBIA PER I MARKETER

Ad attirare le maggiori critiche è stato soprattutto l’approccio estremamente aggressivo del colosso americano, che si è abbattuto in modo nettissimo sull’intero settore e su un’industria che dal consumo di musica sulle piattaforme social ha ricavato l’anno scorso oltre venti milioni di euro.

Meta è accusato di aver abusato della sua posizione di vantaggio e di aver rimosso in blocco i contenuti per il mancato raggiungimento dell’accordo con uno dei soggetti titolari dei diritti, nonostante esistessero accordi precedenti con altri soggetti detentori di un’altra parte dei diritti per lo stesso repertorio. In questo braccio di ferro, Meta è consapevole che fan, creatori di contenuti, brand e musicisti/produttori hanno fatto della disponibilità di contenuti musicali sui social uno strumento essenziale. Per chi crea contenuti è una risorsa, per chi produce musica è un modo di arrivare a un pubblico enorme e generare guadagni. Una parte non insignificante del successo originario di band come i Måneskin, per esempio, è dipesa proprio dalla diffusione massiccia della loro musica sulle piattaforme social.

Anche per i brand questa situazione è stata in qualche modo traumatica: intere campagne social prevedevano l’utilizzo di musica che improvvisamente non è più stata disponibile. In molti parlano del gesto di Meta come di una vera e propria “ritorsione” che fa pagare a un’intera filiera le scelte di un solo soggetto.

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